Buttare via prodotti che potrebbero essere riparati costituisce una seria minaccia per l’ambiente, basti pensare che ogni anno genera 35 milioni di tonnellate di rifiuti solo nell’Unione Europea. A contrasto del fenomeno, negli ultimi anni l’industria è stata chiamata a rivedere i propri processi produttivi in un’ottica più sostenibile. La crisi ambientale ha reso evidente la necessità di abbandonare il modello economico lineare del “produci, usa e getta”, a favore di una visione più circolare, basata su progettazione intelligente, riparabilità e riduzione degli sprechi. Molte aziende già adottano protocolli virtuosi, dimostrando che un cambiamento è possibile e vantaggioso, sia per il pianeta che per l’economia.
Partire dalla fine: un prodotto sostenibile deve essere progettato tenendo conto del suo intero ciclo di vita. Questo significa selezionare materiali riciclabili, evitare componenti difficili da separare e garantire la possibilità di aggiornamenti e riparazioni. La modularità, ad esempio, permette di sostituire solo le parti danneggiate invece di dover acquistare un prodotto nuovo. Questo approccio non solo prolunga la vita degli oggetti, ma riduce anche l’accumulo di rifiuti. Alcune aziende hanno già dimostrato che è possibile produrre beni di consumo elettronici, elettrodomestici e abbigliamento con materiali sostenibili e componenti facili da riparare. L’utilizzo di plastica riciclata, metalli recuperati e tessuti rigenerati è un passo concreto verso la riduzione dell’impatto ambientale.
Uno degli ostacoli principali alla sostenibilità è l’obsolescenza programmata, ossia la pratica di progettare prodotti destinati a guastarsi prematuramente o a diventare obsoleti. A ciò si aggiungono la scarsa disponibilità di pezzi di ricambio e le riparazioni costose, che spingono i consumatori a sostituire i prodotti anziché ripararli. Questo modello non è più sostenibile, deve essere abbandonato, e chi acquista deve prediligere chi ha già dimostrato un impegno in tal senso. L’Unione Europea sta introducendo misure per contrastare questa tendenza, promuovendo il “diritto alla riparazione”. Secondo le nuove direttive, promulgate ad aprile 2024, i produttori dovranno garantire la disponibilità di pezzi di ricambio e dei manuali tecnici per diversi anni dopo la vendita. Inoltre, la priorità sarà data alla riparazione rispetto alla sostituzione, rendendo il processo più accessibile ed economico per i consumatori.
Adottare un modello basato sulla riparabilità e sul riuso porta vantaggi concreti:
- Riduzione dei rifiuti: meno prodotti finiscono in discarica, riducendo l’inquinamento e lo spreco di materiali preziosi;
- Risparmio di risorse: riparare e aggiornare i dispositivi riduce la domanda di nuove materie prime;
- Risparmio economico: per i consumatori, una riparazione è spesso più conveniente dell’acquisto di un nuovo prodotto;
- Creazione di nuovi posti di lavoro: l’industria delle riparazioni e del ricondizionamento può generare opportunità occupazionali in un settore in crescita.
Le aziende che scelgono la via della sostenibilità e della riparabilità non solo rispondono a una domanda sempre più forte da parte dei consumatori, ma si posizionano anche come leader di un mercato in evoluzione. Solo un impegno concreto e diffuso potrà garantire un futuro in cui la tecnologia e l’innovazione vadano di pari passo con la tutela dell’ambiente.
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