Gli appalti pubblici rappresentano uno strumento chiave per indirizzare il nostro Paese verso una maggiore sostenibilità ambientale. Ma quanto sta facendo realmente l’Italia per garantire acquisti pubblici eco-compatibili? Il Piano d’Azione Nazionale per la sostenibilità ambientale dei consumi nella Pubblica Amministrazione (PAN GPP), nato nel lontano 2007, avrebbe dovuto essere il pilastro di questa transizione, ma tra buone intenzioni e realtà, il percorso è stato tutt’altro che lineare.

Gli appalti pubblici verdi, definiti dalla Commissione Europea come il mezzo per integrare criteri ambientali nei processi di acquisto pubblico, sono stati oggetto di vari interventi normativi. Già nel 2006, l’Unione Europea invitava gli Stati membri a predisporre piani d’azione per promuovere acquisti sostenibili. In Italia, la Legge Finanziaria del 2007 aveva stanziato appena 50.000 euro per avviare il PAN GPP, formalizzato con il decreto ministeriale dell’11 aprile 2008. Solo nel 2015 si sono promulgate normative che hanno rafforzato l’obbligatorietà di acquisti sostenibili, introducendo quelli che sono stati definiti Criteri Ambientali Minimi (CAM), con l’articolo 18 della Legge 221/2015 e l’articolo 34 del Codice dei Contratti Pubblici (D.lgs. 50/2016), fino all’ultima revisione del 2023. Questi criteri impongono alla Pubblica Amministrazione di adottare parametri ambientali stringenti nell’acquisto di beni e servizi, che contribuiscano alla transizione ecologica.

L’attuazione pratica del piano lascia molto a desiderare, nonostante il quadro normativo apparentemente solido. Uno dei nodi principali, ancora una volta, è la mancanza di finanziamenti nazionali adeguati. Sebbene la normativa sia chiara nel promuovere appalti pubblici sostenibili, l’assenza di fondi specifici rallenta il processo. Le amministrazioni locali, spesso prive di competenze e risorse, si trovano a dover gestire procedure complesse senza un supporto adeguato. Inoltre, la reale efficacia dei CAM dipende dalla capacità di monitoraggio e di applicazione dei criteri. Troppe volte, le amministrazioni si limitano a un rispetto formale della norma senza un reale impegno per la sostenibilità. La burocrazia elefantiaca e la frammentazione delle competenze tra Stato e Regioni aggravano ulteriormente il problema.

Eppure, il PAN GPP avrebbe potuto rappresentare un volano per lo sviluppo dell’economia circolare e per il rafforzamento della leadership italiana nel settore delle tecnologie verdi. L’Europa punta sempre più sugli appalti pubblici come strumento di trasformazione economica e sociale, con il Green Deal e il Next Generation EU che promuovono una transizione sostenibile, tuttavia l’Italia rischia di perdere questa opportunità. Le imprese, soprattutto le PMI, non ricevono incentivi sufficienti per adeguarsi ai nuovi standard, mentre gli enti pubblici faticano a implementare strategie efficaci. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) avrebbe dovuto rappresentare un’occasione per investire in formazione e modernizzazione della Pubblica Amministrazione in materia di sostenibilità, ma l’integrazione con il PAN GPP è stata debole.

Gli appalti pubblici verdi sarebbero, quindi, un’arma potente per guidare il Paese verso una vera transizione ecologica, ma senza investimenti, controlli e una reale volontà politica, il rischio è che restino sulla carta. L’Italia ha bisogno di un cambio di passo: servono risorse, formazione e una semplificazione delle procedure per trasformare gli acquisti pubblici in uno strumento concreto di sostenibilità ambientale ed economica.

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