La riforma del Codice della Strada promossa da Matteo Salvini, che aveva suscitato un acceso dibattito pubblico, subisce ora un colpo di scena inatteso. La Corte di Cassazione, infatti, ha bloccato una parte cruciale delle disposizioni riguardanti i test antidroga, mettendo in discussione l’efficacia di alcune delle misure introdotte. Questo intervento potrebbe portare a una revisione di diversi aspetti della normativa.

Fin dall’introduzione della riforma, il dibattito si è concentrato soprattutto sulle sanzioni, rese decisamente più severe per contrastare comportamenti pericolosi al volante. Tuttavia, a uno sguardo più attento, le innovazioni normative appaiono meno radicali di quanto si possa credere. Tra gli aspetti più rilevanti vi era la possibilità per le Forze dell’Ordine di sottoporre i conducenti a test antidroga anche in assenza di evidenti segni di alterazione.

Questo punto ha però sollevato dubbi e controversie, in particolare per il rischio di sanzioni a chi assume farmaci prescritti. La soluzione proposta era semplice: avere con sé il piano terapeutico o una ricetta medica. Tuttavia, proprio questa disposizione è finita sotto esame, portando all’intervento della Cassazione.

La sentenza della Corte di Cassazione ha stravolto la normativa sui test antidroga. Il motivo? Né l’esame delle urine né altri test rapidi sono considerati pienamente affidabili per determinare se una persona stia guidando sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Secondo la Cassazione, solo gli esami del sangue possono fornire un’indicazione certa.

Questo rappresenta un problema significativo, perché i test ematici sono più complessi, costosi e richiedono tempi più lunghi. Tuttavia, la loro precisione li rende indispensabili per evitare il rischio di sanzioni ingiustificate o errori di valutazione.